1.Il nostro [il portiere] si palesa a pochi passi dalla primigenia caverna, palingenesi uterina della specie, che egli cerca costantemente di difendere, benché non gli sia permesso di tornarvi. In tal senso lo Stuart scrive: “…egli vi tende incessantemente per tramite della palla, che può con abilità e fatica infilare nell’altrui caverna, ovvero nell’alterità femminea[1]”.
Sebbene il Nostro tenti, tramite la palla, un eterno ritorno all’oscurità e al grembo post-prandiale si trova di fronte una serie di ostacoli e difficoltà. In primis, una torba di sue immagini speculari che cercano di violare la sua porta e che allo stesso tempo si frappongono alla sua volontà. Quindi attualizzazioni consce della sua paura: la violazione della caverna primigenia da parte di un essere suo simile, tanto da essere egli stesso. Scrive in tal senso il Brockner: “i rossi e i blu sono palesemente interdipendenti, come lo yin e lo yang hanno origine reciproca, l'uno non può esistere senza l'altro[2]”.
A tale stato oppositivo, ne troviamo un altro sommamente significativo: quello rappresentato dagli stessi compagni di gioco, che sono concorrenti nella rincorsa al goal (la violazione) e soprattutto altrettanti ostacoli al gioco del portiere. Quindi l’altro da sé, che sia amico o nemico, brocco o donna[3], aiutante o antagonista, risulta sempre una minaccia all’eterno ritorno.
Questa condizione è facilmente inquadrabile tramite altre simbologie insite nella struttura in essere ove opera il Nostro, pensate alla sua posizione: un umanoide crocefisso[4] tramite un’asta che lo trapassa e sorregge, schernito dai colpi dei suoi nemici – sponde e spondine in primis - e tradito a volte dai suoi, tramite rimpalli e colpi di tacco (classico atteggiamento da mammalucchi). E come dice il Martinetti: “Guidato da una mano a lui invisibile, manovrato da un essere superiore, progenie dei Titani ellenici e funesto demiurgo della sua esistenza[5]”.
Per questo il portiere vive imbrigliato in una realtà fantasma, solingo affronta una copia sbiadita di un sogno che gli fa credere di poter aprire una porta nel buio della sua esistenza: la porta che è di fronte a sé. Ma è quella dietro quella giusta, a lui inaccessibile.
[1] Stuart Arnold Lensinghton, Table Soccer and Humans Beings, Oxford Press, 1956
[2] Brockner Hans, Yin Yang Tor, Springer Berlin, 1968
[3] Vedi, dello stesso autore, il breve vademecum sugli orari del campo
[4] Vedi, dello stesso autore, il saggio sull’iconografia del calcino
[5] Martinetti Eugenio, Ellenismi e Cataclismi, Milano, 1982.
1 commento:
Non ci sono parole da aggiungere... Si tratta di un saggio, quello qui citato, di importanza capitale, non solo per la comprensione del calcio balilla. Straordinaria la parte in cui l'autore approfondisce il rapporto tra pallina e porta, introducendo una nuova ed illuminante interpretazione in relazione al fort/da freudiano. Ripetizione sciatta ed ormai rassegnata della commedia umana: la vita stessa come coazione a ripetere, sciagurata, eppure liberatoria, tensione verso l'inorganico che il post-moderno ha sublimato nell'immaterialità, nella virtualità come fuga dall'idea di morte e di tempo. Un aspirare all'assoluto frustrato dal fesso movimento rotatorio intorno ad un unico asse, quello orizzontale, che, come ulteriore e definitiva beffa, impedisce qualsiasi forma, anche solo esteriore, di ascesa...
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